Freitag, 20. Oktober 2017

Solidarietà si: Ahmet Altan: Mi possono imprigionare, ma non mi possono tenere


Ahmet Altan: Mi possono imprigionare, ma non mi possono tenere


“Un oggetto in movimento non è né là dov’è, né là dove non è.” – così recita il famoso paradosso di Zeno. Già quando ero ancora molto giovane ho dedotto che questo paradosso, più che la fisica, riguardasse la letteratura e in particolare la posizione dello scrittore.
Sto scrivendo nella cella di una prigione.
Se si inserisse la frase “Scrivo nella cella di una prigione” nel testo di un racconto, assumerebbe immediatamente una tensione interiore vibrante, il suono di una voce che si alzerebbe in modo spaventoso da un mondo oscuro e misterioso, una voce che parlerebbe del coraggio di una vittima e che chiederebbe in modo inequivocabile pietà.
Prima di cominciare ad impietosirvi, però, ascoltate ciò che ho da dire.
Questa è una frase pericolosa che facilmente può essere utilizzata per sfruttare i sentimenti delle persone. Anche gli scrittori non sono sempre immuni davanti alla tentazione di usare la lingua e le emozioni che queste evocano in funzione dei propri interessi.
Fermi. Prima di impietosirvi, vi prego di ascoltare quello che ho da dire.
Si, sono stato rinchiuso in una prigione di alta sicurezza in mezzo al nulla.
Si, vivo in una cella le cui porte di ferro si aprono e si chiudono con rumori pesanti.
Sì, i pasti mi vengono serviti attraverso una fessura nella porta.
Sì, anche il piccolo cortile con il suo pavimento di pietra dove cammino avanti e indietro, è coperto da sbarre.
Sì, non posso vedere nessuno tranne il mio avvocato e i miei figli; non mi è nemmeno concesso di scrivere ai miei cari.
Sì, quando devo andare in ospedale, tirano fuori un paio di manette da un mucchio di attrezzi di ferro e me li chiudono attorno ai polsi.
Sì, ogni volta che mi vengono a prendere nella mia cella, urlano ordini come “mani in alto” e “togliere le scarpe”.
Tutto questo è vero, ma non è tutta la verità.
Fino ad oggi, non mi sono svegliato una sola volta in prigione. Mai.
In estate, quando i primi raggi di sole penetrano dalla finestra sbarrata, trafiggendo come delle lame luminose il mio cucino, ascolto il canto degli uccelli migratori che hanno dormito vicino all’acqua e il suono secco delle bottiglie di plastica scalciate dai piedi dei detenuti che camminano avanti e indietro nel cortile.
In questi momenti ho la sensazione di essere nel giardino della mia casa d’infanzia o – non so perché, in un piccolo albergo in uno di quelle vie parigine rumorose che mi ricordano “Irma la Douce”.
Quando invece mi sveglio e il rabbioso vento del nord spinge le piogge d’autunno contro la mia finestra, allora comincio la mia giornata in un albergo sulla riva del Danubio, davanti al quale ogni notte, si accendono delle fiaccole. Quando mi sveglia il sussurro della neve che si ammucchia sul davanzale, allora mi trovo dietro la finestra della casa dove il dott. Zivago trovò rifugio.
Fino ad oggi, non mi sono svegliato una sola volta sola in prigione. Mai.
E tutto questo non è ancora nulla in confronto alle mie avventure notturne. Passeggio su delle isole thailandesi, nelle vie di Amsterdam, nei labirinti nascosti di Parigi e nei piccoli parchi che si estendono tra le grandi vie di New York. Mi trovo nelle strade innevate di una piccola città in Alaska, in un albergo a Londra e in un ristorante a Istanbul.
Ho amici in tutto il mondo che mi aiutano a viaggiare anche se, la maggior parte di loro, non ho mai visto.
Posso incontrarli anche sulle rive del rio dell’Amazoni, in una spiaggia del Messico, nelle savane africane. Ogni giorno parlo con delle persone che nessuno vede, persone che non esistono e che io chiamerò in vita nel momento in cui comincerò a scrivere su di loro. Ascolto mentre parlano tra di loro. Vivo il loro amore, le loro avventure, speranze, preoccupazioni e gioie. A volte rido silenziosamente mentre cammino in cortile – le loro conversazioni possono essere assai divertenti. E siccome qui in prigione non voglio incominciare, le scrivo con l’inchiostro scuro della memoria direttamente nel mio cervello.
So di essere uno schizofrenico finché tutte queste persone abitano solo nella mia testa. Ma so anche che sono uno scrittore e che un giorno, tutti si ritroveranno tra le pagine di un libro. Mi diverto ad oscillare come su una altalena tra la schizofrenia e il mio essere scrittore. Mi alzo in aria come fumo e esco dalla prigione accanto a tutti quelli che vivono nei miei pensieri. Loro – gli altri – avranno il potere di gettarmi in prigione, ma non quello di tenermi là dentro.
Dietro la difesa d’acciaio dei miei libri sono inviolabile.
Sono uno scrittore.
Non sono né là dove sono, né là dove non sono.
Ovunque voi mi chiuderete, io viaggerò per il mondo sulle ali dei miei pensieri.
Inoltre, ho amici in tutto il mondo che mi aiutano in questi miei viaggi, anche se la maggior parte di loro non ho mai visto.
Ogni occhio che legge ciò che scrivo, ogni voce che nomina il mio nome, mi prende per la mano come una piccola nuvola e mi fa volare sopra pianure, fonti, boschi, mari, città e strade. Con gesti semplici mi ospitano nelle loro case, nelle loro sale e stanze.
In una cella della prigione, esploro tutto il mondo.
Avete indovinato: Possiedo l’arroganza divina che raramente si confessa, ma che appartiene a tutti gli scrittori e che viene trasmessa da generazione in generazione. Possiedo la sicurezza che cresce come una perla nel duro guscio della letteratura. Dietro il rifugio dei miei libri sono inviolabile.
Scrivo in una cella di prigione.
Ma non sono in prigione.
Sono uno scrittore.
Non sono né là dove sono, né là, dove non sono.
Mi potete chiudere, ma non mi potere fermare.
Poiché io ho il potere di tutti gli scrittori. Posso, senza sforzo, attraversare muri.
Lo scrittore Ahmet Altan, un fervente critico del regime Erdoğan e uno dei primi scrittori turchi a denunciare pubblicamente il genocidio degli armeni, fu arestato con l’acusa di sostenimento di una organizzazione terroristica nel settembre 2016.
Traduzione dalla traduzione tedesca – filologicamente discutibile, ma giustificato dall’urgenza di diffondere questo testo – di Stefanie Golisch

Veröffentlichung durch die Übersetzerin gestattet 
Quelle: https://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2017/10/17/ahmet-altan-mi-possono-imprigionare-ma-non-mi-possono-tenere/#more-98362 (Stand 20. Oktober 2017)

Offener Brief: An den Geschäftsführer Lars Kleba, Die Linke Sachsen, und Protestschreiben des P.E.N. Zentrums deutschsprachiger Autoren gegen die Willkürmaßnahme des Oberbürgermeisters von Reichenbach (Vogtland), Henry Ruß

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